di Eugene O’Neill
regia Davide Livermore
traduzione e adattamento Margherita Rubino
con Paolo Pierobon, Elisabetta Pozzi, Linda Gennari, Aldo Ottobrino, Marco Foschi, Davide Niccolini, Carolina Rapillo
scene Davide Livermore
costumi Gianluca Falaschi
musiche Daniele D’Angelo
luci Aldo Mantovani
regista assistente Mercedes Martini
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Nazionale di Genova
Ritorno, L'agguato e L'incubo: sono i titoli delle tre parti su cui è costruito il capolavoro scritto da Eugene O’Neill nel 1931. Ispirato all’Orestea di Eschilo, il testo ne conserva le funzioni in un affascinante e, allo stesso tempo, inquietante viaggio tra mito archetipico e moderna psicoanalisi, dramma borghese e tragedia classica, affrontando i temi di omicidio, adulterio, incesto e vendetta.
In uno spazio scenico suggestivo, specchio distorto della mente umana, Davide Livermore rappresenta la vicenda che O’Neill ambientò all'epoca della Guerra di secessione americana, nella famiglia di un generale nordista. In un’ideale relazione tra il testo del drammaturgo statunitense e il classico greco, Clitennestra è ora la seconda moglie Christine, interpretata da una straordinaria Elisabetta Pozzi – un ideale omaggio allo storico allestimento di Luca Ronconi del 1997 in cui l’attrice genovese indossava i panni di Lavinia –, Agamennone è ora il generale Ezra Mannon, reso in scena da Paolo Pierobon, Oreste è suo figlio Orin, cui dà vita Marco Foschi, Elettra è la figlia Lavinia, Linda Gennari, e Aldo Ottobrino dà vita ad Adam Brant.
In questo grande allestimento, Davide Livermore fa emergere tutte le tensioni e le contraddizioni di questi personaggi-mito, incarnazioni tragiche che riverberano inquietudini eterne.
Scrive Margherita Rubino, cui si deve la nuova traduzione e l’adattamento dell’opera: “Primo atto di maturità entro il fermento teatrale degli USA a inizio Novecento, Il lutto si addice ad Elettra di Eugene O’Neill fissa la nascita ufficiale del Teatro Americano. O’Neill volle ancorarsi all’atto fondativo dello spettacolo occidentale, la trilogia Orestea di Eschilo, e stabilire una nuova civiltà teatrale. Tre parti e tredici atti, scritti nel linguaggio più lineare e diretto della letteratura angloamericana, corrono via e incatenano lo spettatore grazie a un plot serrato, a una continuità di tensione incredibile e a una profondità del sentire e dell’agire dei personaggi da tragedia greca. Modernissimi sono però l’andamento e il dialogo, del tutto contemporanea la psiche contorta dei cinque protagonisti, calamitante come un noir che non dà respiro”.
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